Associazione Nazionale Alpini

Sezione di Piacenza

Centenario della Grande Guerra

 

 

 

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Un ricordo del Tenente Eugenio Poisetti

1915-2015. Ovvero 100 anni fra queste due sponde del tempo. Quello dei nostri padri, di noi figli e nipoti, di noi tutti italiani che forse tali non siamo ancora diventati, essendo sostanzialmente rimasti divisi tra polentoni e terroni, per non parlare di altre neonate partizioni politiche e culturali. E’ arrivato il 2015 e più precisamente il 24 maggio 2015, ed è naturale tornare indietro di un secolo, al giorno in cui l’Italia, avendo rotto i patti con la Triplice Alleanza, rompe gli indugi ed entra in guerra a fianco della Triplice Intesa. Allo scoppio della guerra (il 28 giugno 1914 l’Impero austro-ungarico aveva dichiarato guerra al Regno di Serbia in seguito all’assassinio  dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este) il nostro Paese si era espresso per una “neutralità benevola”, in forza dell’art. 4 del primo Trattato della Triplice Alleanza (1882). Ma nei primi dieci mesi del conflitto si era andata consolidando l'ostilità verso l’Austria per le terre irredente  del Trentino e Alto Adige, mentre veniva sempre più apprezzata la proposta da parte della Triplice Intesa di ampliamenti territoriali a scapito di Vienna. In tale contesto, in cui ebbe peso importante la retorica interventista dannunziana, l’Italia entrò in guerra a fianco di Francia, Inghilterra e Russia. Nelle scuole italiane per lungo tempo la partecipazione italiana alla Grande Guerra è stata presentata un po’ come la 4° guerra di indipendenza, capace di portare a  compimento l’unità nazionale, se non altro nel senso territoriale del termine. Così eroi come Nazario Sauro, Fabio Filzi, Cesare Battisti, Enrico Toti ecc.…, sono stati celebrati e assimilati a Silvio Pellico, ai fratelli Bandiera, ad Amatore Sciesa, ai Martiiri di Belfiore ecc.… Dal secondo dopoguerra l’epopea della vittoria italiana è stata ridimensionata e sottoposta a critiche anche pesanti, sinteticamente riferibili all’inutilità del crudele massacro di molte centinaia di migliaia di vittime innocenti e per lo più ignare dei motivi per cui erano obbligati a combattere fino a perdere la vita.  Lo stesso spostamento alla prima domenica utile della festività civile del 4 novembre sembra figlio di tale corrente revisione critica. Dopo questo lungo preambolo vengo a considerazioni più personali.

Nella mia adolescenza, tra i 12 e i 14 anni, ho trascorso molte settimane di luglio in alta Val Camonica, a tre chilometri da Passo del Tonale sul versante bresciano, in una casa vacanza gestita dal Centro Turistico Giovanile di Piacenza. Nomi come Corno d’Aola, Monticello, passo Paradiso, Presena, Adamello, passo Gavia ecc.…, mi sono entrati, nel cuore e nella mente, e sono rimasti ricordi sempre vivi, e oggi del tutto rinverditi dal centenario.  Quell’esperienza diretta di mulattiere, sentieri, camminamenti, trincee, baracche, fili spinati, elmetti, bossoli dei proietti di mitragliatrici e fucili ecc.…, tutti reperti ancora ben presenti su quelle epiche montagne nei primi anni ’50, è stata per me la prova dei grandi sacrifici fisici e morali che gravarono sui soldati di entrambe le parti in conflitto.  Il monumento della Vittoria  Alata di Passo Tonale, con l’annesso sacrario che ospita i resti di tanti caduti, mi è quasi famigliare avendolo frequentato durante quelle vacanze con l’assiduità di più volte la settimana, anche perché alle sue spalle si estendeva una spianata erbosa di torba molleggiata ottima, relativamente ai 1883 m. di altitudine, per interminabili partite di pallone.  Per essere sincero devo dire che la spinta a questo scritto non è stata la memoria dei soggiorni estivi in Val Camonica, con i percorsi stradali di passo Tonale e passo Gavia  già mitizzati dal passaggio del Giro d’Italia, con l’attraversamento dei nevai sopra passo Paradiso e le puntate spericolate sulle propaggini dei ghiacciai dell’Adamello, e neppure quella degli strumenti di difesa e di distruzione che la Guerra Bianca, quella combattuta sui monti, aveva lasciato pressochè intatti su quelle montagne. Mio fratello Piergiorgio mi parla con entusiasmo della sua gita, in qualità di ex-alpino, di domenica 7 giugno, effettuata sull’altipiano di Asiago attraverso località, paesi, monti, valli, passi, fiumi, diventati toponimi nelle nostre città per ricordare atti eroici, imprese e vittorie dei nostri soldati nella Grande Guerra.

Diventa così incredibilmente attuale l’esperienza bellica fatta da nostro padre Eugenio, classe 1895. Recupero nel fondo di un cassetto un bustone ripieno di foto e vari documenti che lo riguardano, dalla giovinezza agli ultimi anni di vita. Mi interessa in questa circostanza il suo “Stato di Servizio” presso il Regio Esercito Italiano, da cui leggo tra l’altro che fu chiamato alle armi per mobilitazione il 1/6/1915 e assegnato al 1°  Reggimento Artiglieria da montagna il 16/6/1915.  Dopo aver partecipato a corsi di formazione a Torino, rientra al deposito del 6° Reggimento Artiglieria Fortezza il 14/2/1916 e giunge in territorio dichiarato in stato di guerra il 26/5/1916. Tenente dal 28/9/1916, rientra a Torino quale istruttore presso l’Accademia Militare fino al 16/6/1917, dopo di che ritorna al fronte il 19/8/1917 con la 116° Batteria del 1° Reggimento Artiglieria da montagna fino al 4/11/1918, giorno dell’armistizio. E' pure inviato in Libia fino al 19/5/1919 e il 23/5/1919 è infine esonerato perché studente universitario. Si laurea in matematica presso la Regia Università di Torino con pieni voti e lode il 9/2/1921.  Nelle note speciali viene così accreditato: “Conosce correntemente la lingua francese e traduce l’inglese con l’aiuto del vocabolario”.  Autorizzato a fregiarsi di varie stellette e medaglie, gli viene infine concessa la Croce al merito di guerra il 3/2/1926.  Al di là dello “Stato di Servizio”, nonché della tessera di riconoscimento del Regio Esercito Italiano, rilasciatagli il 19/11/1917, pur sempre forieri di emozioni per noi figli, l’attualità di nostro padre nell’odierno contesto commemorativo sta soprattutto nella sua straordinaria passione per la fotografia che lo portava fin dalla giovane età a essere sempre pronto a fissare situazioni, eventi, paesaggi, volti. Infatti quando venne comandato a svolgere il servizio militare in Valsugana, la sua Rolleyflex fu sempre attiva, così che oggi, a distanza secolare, possiamo osservare alcuni aspetti dell’ambiente militare dell’epoca, che lasciano intuire quanto dura, pericolosa, faticosa, fosse allora la vita dei soldati. Sono fotografie scattate in zone di montagna che documentano le difficoltà tecniche e fisiche del trasporto delle armi pesanti, dei cannoni smontati, dei muli che aiutano i muscoli umani a superare dislivelli, a tracciare sentieri e mulattiere. Il confronto con le odierne condizioni operative militari appare semplicemente improponibile. Se pensiamo poi al diffuso analfabetismo, alle malattie infettive e contagiose molto attive prima della scoperta degli antibiotici, alle lunghe separazioni dalle famiglie, all’alimentazione insufficiente anche sotto il profilo quantitativo, agli inverni passati nelle trincee in altitudine con temperature anche di decine di gradi sotto lo zero, all’abbigliamento e alle calzature affidate a bende  e pezze, ecc…, il pensiero verso chi ha combattuto e soprattutto verso chi non è tornato ai propri affetti da quell’immane massacro della gioventù di tanti popoli, non può che essere di grande ammirazione. Ma anche di altrettanto sdegno e condanna per i governanti e i capi militari del tempo, che, al sicuro ben distanti dai fronti dove si lottava, si combatteva perfino all’arma bianca e soprattutto si moriva, obbligarono i sottoposti all’esecuzione di ordini impossibili da rispettare, pena la fucilazione, quali disertori degli inadempimenti.

Enrico Poisetti

 

 

 

Traino di affusto 149 A.  Monte Levre, maggio 1917


149 A in piazzuola – Batt.a 416. Monte Levre gennaio 1917


Ufficiali Batterie 294 e 295.  Col del Gallo, luglio 1916  (in basso al centro ten. E. Poisetti)


Traino di un 149 A su carrello. Monte Levre, ottobre 1916


Trincere innevate. Monte Levre, inverno 1916


 149 A in piazzuola. Monte Levre, inverno 1916