Associazione Nazionale Alpini

Sezione di Piacenza

Centenario della Grande Guerra

 

 

 

Sito sezione

Calendario

Albo d'Oro

Cronologia

Eventi storici

Storia locale

Monumenti

Documenti storici

Documenti Centro Studi

Rassegna stampa

Link

Home

 

 

Carpaneto

(da La Guerra 1915-18 in un paese di provincia, di Luigi Montanari)

Entrata in guerra Un percorso amministrativo spezzato Fronte interno prima di Caporetto

Il commercio di alimenti

L’amministrazione comunale Fronte interno dopo Caporetto Soldati in paese Profughi e prigionieri
Il costo umano Lo stato d’animo    

 

Carpaneto Piacentino non ha avuto eventi bellici sul suo territorio ma, come ogni comune europeo, ha pagato un enorme tributo di sangue nelle trincee. La vita di ogni famiglia di quegli anni era dominata dall’angoscia per la sorte degli uomini lontani e descrivere la vita spicciola del paese è un po’ come trattare gli effetti collaterali di un avvenimento molto più importante.  Comunque la vita a Carpaneto continuava, pur risentendo dei ritmi della grande storia.

 

 

Entrata in guerra

 

Seguendo su Libertà l’evoluzione dell’opinione pubblica nei mesi che precedono la grande guerra, ci sono vuoti informativi di cui possiamo solo intuire il contenuto politico e sociologico (a Carpaneto come a Roma). Nel febbraio 1915 Athos, corrispondente da Carpaneto (uomo del partito Liberale al potere ed opinion maker) scriveva:

 

Anche fra noi come in tutti i luoghi de’ mondo si parla di guerra…..…anche fra noi vi è qualcuno che vedrebbe volentieri l’intervento delle nostra Nazione così tanto da fare come fanno gli altri per distruggere in qualche mese di conflitto l’economia di mezzo secolo e qualche centinaio di migliaia di uomini ……… Fortunatamente che gli interventisti sono qui un numero così esiguo da potersi contare sulle dita: qui la maggioranza assoluta,per non dire, tutti ,ha una sola ardente aspirazione: il mantenimento della pace con il proseguimento della neutralità       (da Libertà 14-02-15)

 

Il 7 febbraio, con grande partecipazione di fedeli, si tenne nella chiesa del capoluogo un’intera giornata di preghiere per la pace indetta da papa Benedetto XV. Dopo queste segnalazioni Athos tacque per mesi sull’argomento. Passando alle notizie nazionali, solo nel giorno 11 maggio, Libertà dedicò per la prima volta il titolone a tutta pagina ad una possibile guerra ed il 14 successivo, il ministero Salandra aprì le schermaglie parlamentari dando le dimissioni a causa del mancato consenso sulla sua politica estera. Il 24 entrammo in guerra. La svolta politica avvenne quindi fra il 14 ed il 24 maggio. Col senno di poi, constatando che fin dal 24 aprile l’Italia si era impegnata con Francia ed Inghilterra ad entrare in guerra si comprende come la grande decisione fosse stata presa all’insaputa dei cittadini e dei loro parlamentari.

 

Il primo segnale di guerra per Carpaneto fu la requisizione dei cavalli da parte dell’esercito, unico atto preparato da tempo. Il 28 maggio seguì la costituzione di un Comitato per la Preparazione Civile (CPC) presieduto dal sindaco avv. Luigi Faustini che invitò la popolazione a prestare soccorsi materiali e morali alle famiglie dei nostri soldati che combattono per l’indipendenza della patria e la vera civiltà. Si costituì presto un secondo comitato, femminile, ed iniziarono le attività del fronte interno. 

 

Athos a questo punto cominciò a sfoggiare un nuovo linguaggio. Ad esempio riferì di un incontro sul tram fra il librettista Luigi Illica ed il segretario comunale Cesare Ferrari avvenuto ineggiandosi alla vittoria delle nostre armi per la grandezza della Patria. Linguaggio destinato a non cambiare per decenni.

 

 

Un percorso amministrativo spezzato

 

Rievocando la primavera 1915 non si può evitare di ricordare come l’Europa fosse già in guerra e l’Italia fosse in una grave crisi economica causata dal crollo del commercio internazionale. A Carpaneto gruppi di senza lavoro vagavano per il paese e di tanto in tanto chiedevano udienza agli amministratori per ottenere promesse. Non potendo importare alcuni generi alimentari (soprattutto il grano) in quella primavera vi era stato un forte aumento dei prezzi. Il Comune cominciò da allora a trasferire somme accantonate per opere pubbliche in capitoli di spesa assistenziale. Comprò grano all’ingrosso e lo rivendette al minuto a prezzo di costo.  Opere già appaltate come il macello comunale, il ponte sul Riglio a Montanaro, il cimitero di Chero furono rinviate al futuro.  Vennero eseguiti in economia solo lavori che impegnassero solo manodopera per lo sterro; come la strada della Boiona, finanziata (è d’obbligo dirlo) da un prestito personale del sindaco avv. Luigi Faustini. Per questa opera ironia volle che il geom. Luigi Casella, che aveva diretto i lavori, fosse richiamato improvvisamente in servizio militare. La Giunta Comunale nel 1916 richiese per lui una licenza in modo che potesse terminare il pagamento degli operai impegnati.

 

 

Fronte interno prima di Caporetto

 

Il Comune ed i suoi abitanti affrontarono le esigenze del tempo di guerra con l’abituale senso del dovere e della solidarietà ma imparando sulla propria pelle il da farsi Il giorno 20 maggio, su Libertà la sezione piacentina della Società Umanitaria scrisse una lettera a tutti i sindaci suggerendo la linea di condotta da tenere e si offrì come consulente per le amministrazioni stesse.

 

Poiché la guerra è ormai un fatto irrevocabile, l’Ufficio di Consulenza Amministrativa per i Comuni consiglia la

S.V. ad adottare i seguenti provvedimenti:

  1. costituire sotto la presidenza della Giunta un Comitato locale di soccorso invitando la minoranza a partecipare

  2. oltre alla distribuzione del sussidio governativo alle famiglie dei richiamati concedere ulteriori sussidi ai bisognosi per mezzo del Comitato da costituire. I fondi possono trovarsi a) con apposito stanziamento del Comune b) richiedendo parte delle L. 10 mila votate dal Consiglio Provinciale e che devono assegnarsi ai comuni c) con pubbliche sottoscrizioni I sussidi è bene distribuirli con criteri di beneficenza moderna ed estenderli ad esempio anche alle mogli e ai figli illegittimi.

  3. Il Comitato in accordo con le organizzazioni operaie provveda alla sistemazione della manodopera, specialmente agricola . In caso di scarsità o di abbondanza, per le correnti migratorie interne, rivolgersi alla nostra Seziene che è in diretto raccordo con la Fed. Naz. dei Lavoratori della Terra

  4. Provvedere per un ufficio di corrispondenza gratuita per le famiglie dei richiamati

  5. Ottenere dai datori di lavoro che ai richiamati sia serbato il posto e tutto o parte lo stipendio a seconda dei casi

  6. Fare subito le pratiche con gli istituti di beneficenza per il ricovero degli orfani

  7. Perché il Comune seguiti a funzionare richiedere al R. Prefetto, in caso di assoluta necessità l’esenzione dal servizio militare del Sindaco o di qualche assessore.

Tali suggerimenti saranno parzialmente adottati e diverse amministrazioni, fra cui la minoranza consigliare di Carpaneto si affidarono alla consulenza di questa organizzazione di socialisti riformisti.

Le amministrazioni comunali avevano allora competenze molto ampie e furono lasciate sole La prima ingenuità (da parte del governo) consisteva nel credere che si potessero arruolare tutti gli uomini validi mandando avanti come se niente fosse la produzione nei campi e l’amministrazione comunale.  Con la guerra invece le esigenze organizzative aumentarono, se non altro per dare assistenza alle famiglie dei soldati richiamati, e diventò già un problema l’avere il numero legale nelle riunioni del consiglio comunale. Le cronache se non altro ci dicono che il Regio Esercito non guardava in faccia a nessuno; furono immediatamente arruolati gli assessori Leopoldo Braghieri, il maggiore agrario locale, e ad Aride Breviglieri, amministratore della RDB. Presto fu sotto le armi un terzo del consiglio. A luglio una circolare regia permise comunque l’assunzione di personale comunale per chiamata diretta, fatto salvo che si tenesse un concorso di conferma entro i primi sei mesi dalla fine della guerra.

 

L’assistenza alle famiglie dei richiamati è un altro esempio dell’impreparazione iniziale.  Queste, su loro richiesta ricevevano, ogni lunedì, un sussidio da una commissione statale installata nel comune. A Carpaneto (non sede di provincia o circondario) le diarie in Lire erano le seguenti: moglie 0.60, figlio sotto i 12 anni 0.30, un genitore a carico 0.60, due genitori a carico 1.0 un solo fratello o sorella a carico  0.60, ogni altro fratello o sorella a carico  0.30. (consideriamo che un kg. di pane costava 55 cent. ed un uovo 0.15)  Il CPC interveniva ad integrare le necessità delle famiglie e, per finanziarsi promosse una sottoscrizione volontaria, come avrebbe fatto in tempo di pace per una vedova in difficoltà. Per tutto il 1915 Libertà riportò elenchi di singole offerte ed impegni di versamento mensile ma già nel ‘16 le offerte singole terminarono e risultarono subito evidenti la perdita l’entusiasmo iniziale oltre che un impoverimento generalizzato. Nel 1916 l’attività del CPC diventò difficilissima. Il direttivo aveva il poco invidiabile compito di dover decidere caso per caso se il richiedente avesse bisogno di aiuto e di adeguare questo alle risorse disponibili. Col procedere della guerra e la diminuzione delle risorse divenne necessario diminuire gli aiuti e sospenderli nei mesi in cui era possibile a tutti raggranellare qualche soldo lavorando nei campi, Il CPC perse il presidente esecutivo avv. Alessandro Moj (pretore) con l’intero direttivo nel marzo ’16.  Accettò la carica Antonio Paganuzzi che poi nel giro di qualche mese rinunciò. 

Le signore con il loro comitato, sostennero la vita quotidiana dei combattenti. Si partì con la raccolta della lana per gli indumenti dei soldati (un classico nelle guerre italiche) con signore sferruzzanti a preparare maglioni. Il simbolo della assistenza ai combattenti fu comunque la realizzazione di bastoncini di carta pressata, detti “scaldavivande”, distribuiti ai soldati come combustibile per riscaldare la gavetta in luoghi disagiati. Tale preparazione era oggetto di un preciso disciplinare e venne poi creato addirittura un ente nazionale per coordinare tale produzione.

La popolazione di Carpaneto rispose in modo ordinato al richiamo del governo. Molti emigrati tornarono per arruolarsi e venne stabilito, a livello comunale, un contratto collettivo per i lavoratori,  Ogni anno (fino al 1920) chi poteva sottoscriveva una quota del Prestito Nazionale (in cartelle da 100 £. al 5.2% d’interesse)  Da segnalare il gesto patriottico delle contesse Nasalli Rocca che prestarono 10.000 Lire al Comune di Carpaneto ad un interesse del 5%.

 

 

Il commercio di alimenti

 

La Amministrazione Comunale, da cui in pratica tutto dipendeva, seppur facendo errori si diede da fare per a garantire ai cittadini il diritto al cibo. A fine maggio 1915 Athos propose che Carpaneto adottasse un calmiere ad imitazione di Piacenza Promosso quindi “dal basso”  entrò in vigore un calmiere sui prodotti di prima necessità che, come tutte le distorsioni del libero mercato creò effetti deleteri a catena di cui accenniamo solo alcuni esempi. Per prima cosa lo stabilire il prezzo massimo per alcune merci entro un territorio significa  farle sparire in un comune e farle abbondare in altri. Sembrò logico allora proibire i trasferimenti  di merci fra comuni ma gli effetti assurdi si riproposero, ad esempio per remunerare i commercianti delle zone di produzione suini si arrivò a proporre il divieto di macellazione suini da parte dei privati.  L’idea di adottare prezzi di calmiere uguali in tutti comuni arrivò solo a fine novembre 1916, Il provvedimento non risolse il problema del tutto se nel 1917 il pollivendolo Pio Cammi di Caminata (Carpaneto) venne processato per aver venduto uova fuori provincia.

A metà del 1917, per merito dell’assessore Giovanni Montesissa venne costituito un ufficio annonario.

 

L’assessore sig. Giovanni Montesissa ha in cima ai suoi pensieri la nuova carica che gli è stata affidata dal Consiglio e dedica all’ufficio la maggior parte della giornata. Con la sua bontà contemperata alla ragione risolve problemi che un cervello irto di articoli di regolamento non riuscirebbe a risolvere. E mercé la sua attività si è potuto avere in Borgata ed a benefici di tutto il Comune l’ufficio annonario che egli dirige, assicurando alla popolazione il frumento ed il granoturco necessario , fino al prossimo raccolto. Per evitare lungaggini burocratiche che avrebbero certamente fatto fallire il tentativo, il sig. Speroni ed il sig. Montesissa hanno anticipato del proprio diecimila lire circa,  per acquistare dalla Commissione di requisizione , e distribuire al popolo, i cereali che altrimenti il popolo stesso avrebbe dovuto richiedere da Piacenza e da Fiorenzuola, rischiando di nulla o poco ottenere e pagando in più il trasporto.

 

Erano comunque tempi in cui la gente aveva memoria della miseria da cui era appena uscita e sapeva accontentarsi di poco. A Carpaneto spettavano sette quintali lordi di carne al mese (4 q.li netti su 6000 residenti) che erano esauriti in due settimane.  Il paese non soffrì la fame  per via degli stretti rapporti della popolazione con la campagna. Presso tutte le case private si allevavano conigli e tutti avevano un orto (oppure un parente con un orto).  Per tutto il periodo della guerra il pane venne prodotto con una parte di farina integrale ma nell’agosto 1917 il Comune dovette tenere conto di un forte malumore della popolazione. Delibera allora la Giunta:

 

La giunta è informata come il rifiuto opposto dal Consorzio granario di mettere in vendita il frumento invece della farina sia stato accolto con vivo malcontento. Infatti il popolo spesso protesta  presso questi uffici allegando che la farina è falsificata e che vi si trovano commiste delle materie estranee la qual cosa a detta dei contadini è sensibile a giudicare dal peso maggiore in rapporto al volume. Tutte idee che pur non essendo conformi al vero sono così profondamente radicate nel cervello dei contadini che è difficile estirparle. Allorché tale stato di cose minaccia seriamente l’ordine pubblico, e di ciò deve preoccuparsi questa Amminstr.. per impedire in tempo utile che avvengano disordini – delibera- Incaricando il Sindaco di interporre uffici presso il Consorzio granario affinché fornisca al comune il frumento invece della farina.

 

 

L’amministrazione comunale

 

Dopo lo scoppio della guerra risultò subito evidente la scarsità di persone capaci di mandare avanti il “settore pubblico”. Con un terzo del consiglio comunale in divisa (il terzo più giovane) era difficile avere il numero legale nelle riunioni e anche se alcuni dei consiglieri richiamati non erano precisamente in trincea. Alcuni amministratori diedero presto le dimissioni (Montesissa, Bertoli , Paganuzzi ed altri) ma venne subito adottata la regola di accettare solo quelle da assessore e respingere quelle da consigliere. La gestione amministrativa restò quindi sulle spalle dei pochi sempre disponibili: Giovanni Speroni, Edoardo Corbellini. L’avv. Luigi Faustini era presente solo nei mesi estivi , Leopoldo Braghieri durante le licenze (due mesi all’anno). Dalla metà del 1916 un’atmosfera depressa avvolge gli amministratori ed emerge fra loro una crescente voglia, o forse necessità, di occuparsi dei propri fatti privati.

 

Una certa influenza negativa sul morale degli amministratori devono averla avuta anche le tensioni fra dipendenti comunali.  Già nel 1915 la Giunta aveva espresso, con un richiamo ufficiale, la propria insoddisfazione per la scarsa coesione fra il personale, che si suppone fosse diviso in fazioni. Tale situazione, da materia per pettegolezzi divenne fonte di danni quando il segretario Cesare Ferrari chiese di andare in pensione (a 75 anni) e fu necessario sostituirlo. Il suo vice Pietro Fermi era sicuramente persona in grado di prenderne il posto ma il comune di Carpaneto in tutta la sua storia non ha mai promosso a segretario un dipendente interno e non poteva certamente farlo in un momento di faide interne.. Furono assunti per chiamata il segretario l’avv. Giuseppe  Pittalis un sardo e l’applicato Guido Mantovani, un modenese.  Due forestieri che non furono accettati nemmeno dalla popolazione e faticarono a trovare alloggio. Il Pittalis era un funzionario con esperienza ma non otteneva informazione dai dipendenti e si appoggiava sul predecessore Ferrari (che andava a consultare nella sua casa di Piacenza). Ebbe quindi il disonore di dover rifare verbali di Giunta e delibere. Le mansioni del Mantovani invece cambiarono più volte sempre  puntualizzando i confini delle sue aree di intervento.(e quelle degli altri) Si giunge così al dicembre 1916 quando la Giunta (Faustini, Speroni e Corbellini) approva  l’assunzione di Pittalis ed al secondo punto delibera:

  

Ritenuto che nella adunanza consigliare di Giovedì 30 Novembre scorso, sebbene di 2 convocazione ,furono presenti soltanto quattro Consiglieri compesivi Sindaco ed Assessori; Ritenuto infine  che all’ordine del giorno di questa ultima adunanza figuravano fra gli altri oggetti le dimissioni di due Consiglieri di cui uno anche assessore effettivo. Considerando che detti fatti dimostrano chiaramente che la Giunta Comunale non solo non è sorretta ma isolata e quasi ostacolata alle sue funzioni; avendo poi ragione di credere di non godere più della fiducia del proprio Consiglio La Giunta Municipalie, unanime nel voto, Delibera, di rassegnare, come rassegna, le dimissioni……..

 

C’è tanta amarezza in queste parole scritte in una notte invernale e non firmate.  Le dimissione vennero comunque ritirate e l’amministrazione continuò come prima  Nella estate del 1917 le cose, se possibile, peggiorarono ulteriormente. Il sindaco avv. Luigi Faustini (1850­1918), che risedeva in paese solo pochi mesi all’anno, malato, stanco e colpito da un grave lutto si dimise per l’ultima volta  e mori di lì a pochi mesi. Uomo di cultura, presidente della Banca Popolare e del Consorzio Agrario, il Faustini era stato il personaggio di riferimento a Carpaneto dal1905. I notabili locali avevano provato ad accantonarlo nel 1910 ma avevano dovuto richiamarlo. Da allora amministrava minacciando il ricatto delle proprie dimissioni. Arma questa tante volte minaccia da perdere in serietà; ad esempio in un consiglio comunale le sue dimissione erano al settimo punto su venti dell’o.d.g. 

 

Giovanni Speroni assunse la carica di sindaco una prima volta nel agosto 1917 ma subito rinunciò per i contrasti tra il personale (anzi decadde per non aver prestato il giuramento). Si giunse infine alla drammatica riunione del Consiglio Comunale il 10 novembre 1917.  Convocata al mattino, venne rinviata di poche ore dopo per mancanza del numero legale. Prelevando singolarmente i consiglieri dalle loro case fu possibile garantire il numero legale nel pomeriggio. Il consiglio elesse poi gli assessori a cominciare da Antonio Paganuzzi di Zena (12 voti). Tutti gli eletti rinunciarono all’incarico nel corso della stessa seduta lasciando il Comune privo di amministrazione A fine novembre del 1917 Carpaneto era al tappeto non meno di quanto lo fosse l’Italia sui campi di battaglia. Il 2 dicembre prese servizio il commissario prefettizio dr. Romualdo Volpi, che era pure segretario a scavalco di Cortemaggiore e Villanova. Quando veniva a Carpaneto faceva funzioni di sindaco e doveva anche occuparsi dei sussidi ai bisognosi (nessuno voleva fare il presidente del CPC) In queste condizioni arrivarono i soldati della Vª armata ed i profughi dalle terre invase. Il calmiere dei prezzi nel frattempo era diventato un ricordo. Il Mantovani, addetto all’ annona, privo di capi autorevoli a cui appoggiarsi  era impotente. Qualche intervento esemplare del maresciallo Faliero Rabitti non spaventò nessun commerciate. Lo Speroni assunse definitivamente la carica di sindaco il 28 dicembre 1917. La vera svolta avvenne con il ritorno dal fronte della strana coppia Braghieri, agrario, ed Emiliani sindacalista che garantì l’attività di giunta fino alla fine della  guerra.  Il consiglio comunale continuava ad andare deserto ma l’attività di giunta era sicura ed autorevole. Nel marzo 1918 si cercò di rafforzare la posizione di Pittalis ponendolo sotto la  supervisione del dr. Romualdo Volpi  Quest’ultimo aveva capacità e prestigio, era un esterno ma era anche figlio del medico condotto di Rezzano e quindi un conoscitore del posto. Pittalis offeso si dimise e dopo vari colpi di scena (con risvolti da commedia) tornò in servizio il vecchio Cesare Rossi richiamato dalla pensione. Con il ritorno di alcuni personaggi chiave, l’amministrazione riprese spinta ed in qualche modo resse fino al termine della guerra. I bilanci dal ’16 furono approvati nel ’18.

 

 

Fronte interno dopo Caporetto

 

Come noto alla fine di ottobre del 1917 la guerra si mise male per l’Italia ma la nazione ebbe un sussulto di vitalità. A Peschiera si tenne una conferenza di alti vertici che fece (segretamente) autocritica e diede disposizioni per ovviare agli errori commessi in precedenza. L’approccio stesso alla guerra cambiò. La propaganda presso i soldati non fu più basata sul richiamo ossessivo al fare il proprio dovere ma sul fatto che, vincendo, essi avrebbero avuto un futuro migliore  Nel microcosmo di Carpaneto possiamo effettivamente vedere che molte cose cambiarono. Arrivò l’attività di propaganda del Fascio di Resistenza Interna con comizi patriottici per sollecitare un sostegno attivo alla guerra.  Storica da questo punto fu la riunione del 6 gennaio 1918 in cui, nel Teatro Sociale, venne creata la sezione locale del Fascio di Resistenza, Si tratta del primo comitato “interclassista” costituito nella storia del paese. Questo comprendeva fra gli altri l’ortolano Bolledi Vicenzo, il contadino Moschini Vittorio, il farmacista Giuseppe Bereta, il falegname Meli Ettore, l’agrario Arata Giovanni, il negoziante Magnaschi Enrico, il veterinario Giuseppe Donelli, l’agricoltore Ziliani Emilio ed altri. L’ avv. Alessandro Moj ne assunse la previdenza. 

Parlarono l’avv. Pietro Gioia ed il prof Massaretti; entrambi dovettero ricordare ai presenti perché si era in guerra. Il primo produsse una spiegazione di un certa originalità.

 

l’avv. Pietro Gioia trattò ampiamente delle ragioni che ci hanno portato al conflitto e dallo schianto che il paese avrebbe subito mantenendo la neutralità. Particolarmente tratteggiò tutto il quadro di miserie che per la mancanza di sufficiente alimentazione sarebbero ineluttabilmente sopravvenute alle classi più diseredate., insufficienza che non avrebbe tardato a manifestarsi per la immediata cessazione di tutte le importazioni di grano.

 

Il secondo restò sul classico

 

il prof Massaretti dal canto suo spiegò tutto quell’insieme di ragioni politiche che ci trassero alla guerra: la quale ha avuto il rilievo di un guerra di difesa preventiva

 

Insomma per un momento gli oratori trattarono da adulti i cittadini e spiegarono che non si moriva solo per  Trento e Trieste. Arrivò in visita il sottoprefetto (quando mai s’era visto!) e fu prodigo di promesse (grano da distribuire, elettrificazione del tram e altro) Fu trovata una soluzione anche al problema della scarsità di persone.  Per evitare ulteriori impoverimenti dei patrimonio zootecnico, a livello provinciale vennero congedati alcuni bergamini. Vennero congedati dalle armi anche alcuni agricoltori  (che teoricamente avrebbero dovuto dare una mano anche su terreni altrui) e fu possibile avere disponibili con continuità persone come Leopoldo Braghieri mentre Luigi Emiliani venne infilato in una commissione agricola provinciale (chiaro esempio di agricoltore “ad honorem”) e restituito all’attività amministrativa. Con questa gente fu possibile a questo punto introdurre il tesseramento dei generi di prima necessità. Il consumatore si convenzionava con un negozio che gli procurava i generi di cui necessitava a prezzi stabiliti Il passaggio dal razionamento al libero mercato creò poi enormi tensioni sui prezzi  In questo quadro si inserisce una vicenda da meditare. La popolazione sembrava sopportare tutto ma ebbe un sussulto di dignità per salvaguardare la qualità del burro. In quel tempo, nel comune, erano attivi sei caseifici di cui però il maggiore (quello di Cimafava) era stato da poco riconvertito da Ferdinando Auricchio alla produzione di provolone, L’ufficio competente stabilì che la fornitura settimanale di burro per il comune (120 Kg) venisse da questo caseificio. La popolazione però non gradì la decisione perché il burro prodotto contemporaneamente al provolone mantiene un retrogusto di caglio ed avviò uno sciopero dell’acquisto.  La notizia si ritrova nella corrispondenza fra Comune ed un fantomatico ufficio di Milano, precisamente il “COMMISSARIO GOVERNATIVO del Consorzio obbligatorio per la disciplina del commercio del burro” (la guerra non fa male alla burocrazia).   

 

Da Carpaneto si scriveva:

 

Già da due settimane la popolazione si lamenta, protesta e rifiuta l’acquisto di tal merce

 

si rispondeva:

 

non credo …che dato gli attuali momenti si possa fare quistione di qualità più o meno buona

 

Colpisce il  pensare come queste signore, con i loro uomini nell’incubo della guerra ed i figli da sfamare  abbiano trovato nella qualità del burro una loro interiore linea del Piave, sfondata la quale avrebbero sentito offesa la loro dignità. Se si volesse istituire una festa dell’orgoglio carpanetese la data più indicata da ricordare è quella del 5 febbraio 1918, inizio dello “sciopero del burro”. Sul piano della assistenza venne finalmente creato un segretariato per i soldati e per le loro famiglie  diretto dalla maestra Elisa Arati (che a fine guerra riceverà per questo una medaglia.) Il 6 novembre 1918 in ringraziamento per la fine della guerra  venne celebrato un solenne Te Deum nella chiesa del paese. Le bandiere nazionali del Comune e della Società Operaia vennero ammesse in chiesa, solo con l’aggiunta di un crocefisso appeso all’asta (don Burgazzi, ordinato sacerdote nel 1869, era ancora fermo alla breccia di Porta Pia).

 

 

Soldati in paese

 

Dopo la rotta di Caporetto (24/10/1917) i resti della IIª armata furono concentrati fra Piacenza e Parma per essere riorganizzati nella Vª armata.  A Carpaneto arrivarono fanti ed alpini. La brigata Firenze costituita dal 127° e dal 128° reggimento fanteria venne disposta nell’area fra Chero e Nure, in particolare fra Santa Maria del Rivo, Ronco, Corneliano, Godi e  Rezzano Dopo un mese di caos in cui la brigata cambiò divisione quasi ogni giorno, i soldati arrivarono il 30 novembre e restarono in zona fino al 4 febbraio 1918.  Viene ancora tramandato il ricordo di un enorme accampamento sul greto del Chero presso Rezzano. A Magnano (luogo appartato dove trattare con gente molto scossa) vennero concentrati per riorganizzarsi i resti di due battaglioni di Alpini: “Saluzzo “ e ”Monviso”  Il battaglione “Saluzzo” ridotto a circa 300 uomini, arrivò a Magnano verso il 27 novembre e qui si ricostruì su due compagnie (la 21ª e la  22ª) assorbendo i resti del battaglione Monviso (disciolto sul posto il giorno 30). Il 7 dicembre gli alpini furono trasferiti nel bergamasco per completare la loro riorganizzazione.

Un cronista di Libertà affermò (nel ’22) che alla fine del 1917 il gen. Capello avrebbe tenuto nel teatro Sociale (di via Battisti), una riunione segreta di ufficiali della IIª armata durante la quale pose le basi per il lavoro di riorganizzazione.

 

 

Profughi e prigionieri 

 

Dopo Caporetto (il 2 dicembre) scrive Athos

 

Giunsero anche fra noi i profughi delle terre invase dal nemico e furono accolte con amore dalla popolazione ……. I profughi vennero ricevuti dall’Egregio Segretario sig.dott. Pittalis e dall’impiegato per i servizi annonari sig. Guido Mantovani, i quali fecero prontamente allestire vivande per le povere famiglie giunte fra noi e prive di mezzi di soccorso. L’egregio Assessore anziano tuttora in carica pel disbrigo degli affari di ordinaria amministrazione in unione al Consigliere sig. Luigi Emiliani ed agli impiegato dell’ufficio provvidero tosto ad invitare le principali persone del paese a costituire un Comitato Profughi affine di raccogliere offerta dalla popolazione e prestare assistenza ai nostri fratelli sventurati.

 

Sorse un Patronato per l’assistenza ai profughi, presieduto da Giuseppe Arata, che accolse ed ospitò nelle varie frazioni le famiglie venete in arrivo.  Negli anni 1917-18 vennero così ospitati 131 profughi, tutti (tranne 8) dei comuni di Valli dei Signori e Posina in provincia di Vicenza  (Valli dei Signori ora è parte del comune di Valli del Pasubio). Queste famiglie ricevevano un sussidio dallo stato e supplirono nei campi alla mancanza delle braccia degli uomini in guerra. Un primo flusso di profughi abitanti nelle aree del vicentino, a ridosso del fronte, c’era già stato nel 1916. Le famiglie erano state ospitate nel capoluogo e nel castello di Travazzano ma, cessato il pericolo, dopo quaranta giorni erano tornate alle loro case.

 

Durante la guerra, per lo meno dal 1916, prigionieri austriaci lavoravano nei campi presso alcuni agrari del comune. La notizia è riferita dal corrispondente di Libertà da Carpaneto. Questi, dopo Caporetto lamentava la tracotanza di questi prigionieri che manifestavano gioia per le sconfitte dell’Esercito Italiano e segnalava ai carabinieri alcuni casi da sanzionare. Tale notizia conferma un racconto (a suo tempo mai creduto) riportato dalla madre dello scrivente, La signora Angela Manini affermava che la propria famiglia aveva dovuto abbandonare alcune camere nel cortile del castello di Cerreto per far posto a prigionieri di guerra che lavoravano nei campi.  Prigionieri austriaci lavorarono anche per una prima realizzazione della strada dei Nicrosi e per la continua manutenzione della pista nel greto del Chero a monte di Badagnano (che al tempo serviva come pista per muli).

 

Le requisizioni di locali ad uso dei militari furono condotte senza riguardi, Il sindaco Faustini, nel 1917, inserì fra i motivi delle proprie dimissioni l’occupazione  (senza necessità)  della sala comunale  Le scuole elementari del capoluogo furono requisite per necessità militari (?) , le lezioni continuarono in locali di fortuna (fino alla primavera 1919) e persero in qualche modo la loro regolarità. Il cinema Sociale venne requisito per farne un deposito granario del consorzio agrario e tale rimase fino al 1922.

 

 

Il costo umano

 

Carpaneto nel 1911 aveva 7271 abitanti; di questi circa 1000 presero parte ad operazioni belliche. (valutazione del ten. Giuseppe Previdi all’atto della costituzione della A.N. Combattenti) e quasi 200 non tornarono. Stendere l’elenco dei caduti di Carpaneto è impossibile. Se si consulta l’Albo d’Oro dei Caduti (la fonte ufficiale pubblicata nel 1926) i carpanetesi (di nascita) inclusi sono 165, ma è certo che alcuni nomi manchino. Nell’archivio comunale esistono poi diversi elenchi stesi nei primi anni ’20 nei quali non si distingue fra caduti nati o semplicemente residenti nel comune. Nel più completo di tali elenchi risulta poi evidente come le amministrazioni comunali si accordassero fra loro per definire la prevalente residenza dei vari caduti. Era del resto corretto tenere conto in modo non burocratico del luogo a cui un caduto era stato più affezionato. Sovrapponendo tutti gli elenchi citati si arriva ad un numero di 239 caduti, fra nativi e residenti. Dobbiamo pensare però che parte di essi sia riportata in elenchi di altri comuni o forse addirittura che alcuni siano inseriti per errore degli scritturali. Nel 1935, quando vennero apposti i nomi dei caduti agli alberi di viale delle Rimembranze, il numero dei caduti venne fissato in 153. Durante la 2ª GM, quando i cippi di viale Rimembranze  furono rinnovati, vennero aggiunti altri 2 nominativi. Fra i nomi riportati dai cippi, tre non figurano in nessun elenco nazionale o locale.  Per capire la loro condizione occorre esaminare  il caso Lusignani, un esempio della complessità militar burocratica.  Giuseppe Lusignani, di Luigi, proveniente da una distinta famiglia di Zena, morì mentre era prigioniero a Mannheim (D). Dopo la guerra, nel rispetto delle leggi, il padre chiese al Regio Esercito il rimpatrio gratuito della salma ma tale domanda non venne accolta perché il Lusignani era morto per malattia in prigionia e non a causa di ferite (evidentemente una morte a basso tasso di gloria). Il Lusignani non figura in alcun elenco nazionale o locale ma il carteggio esistente dimostra che il Regio Esercito sapeva di lui. Carpaneto, pur mancando un riconoscimento ufficiale ne conservò la memoria dedicandogli un tiglio nel viale. Si può pensare quindi che i caduti associati ai tigli siano il frutto di una meditazione decennale. I deceduti per malattia furono il 37% delle perdite totali.  Le coppie di fratelli caduti sette, i mutilati o invalidi quaranta.

 

 

Lo stato d’animo

 

Dopo la pace, la popolazione cercò di farsi una ragione dei sacrifici compiuti; elaborò i suoi modi per onorare i caduti ed adottò, con effetto retroattivo, giustificazioni che tiravano in ballo gli interessi della nazione. Chi però ha parlato con i protagonisti dell’epoca, ha ricavato  l’idea che lo stato d’animo popolare durante il conflitto fosse di grande rassegnazione. A quei tempi il senso del dovere e la soggezione all’Autorità contavano ancora, mentre d’altra parte la religione popolare era ancora in grado di parlare alle persone. La gente inoltre non trovò il modo di attribuire a qualcuno la colpa delle proprie disgrazie, come avvenne durante la seconda Guerra Mondiale.  

 

Athos nei bui momenti del novembre 1917 scriveva:

 

Si .. richiama dal sig. Maresciallo e da tutti i cittadini una sorveglianza attiva nelle piazze e negli esercizi dove persone che pretendono di saperla lunga, si permettono di tenere discorsi esaltanti il nemico e denigranti lo spirito nazionale.

 

Un mese dopo assicurava:

 

La nostra popolazione è vivamente corazzata contro le avversità della guerra che si fecero sentire negli ultimi tempi e pronta a qualsiasi sacrificio per conseguire la vittoria. Se prima si sentiva qualche lamentela per la durata della guerra ora invece non si sente che il desiderio di ricacciare il nemico oltre i nostri confini naturali

 

Athos era uomo di mezze verità ma lascia intravedere uno squarcio di paese con provincialismo, stanchezza e piccoli guizzi di orgoglio I carpanetesi ebbero nove decorati ma si dimostrarono sempre allergici alla gloria (altrui) L’avv. Federico Rossi scriveva  da Carpaneto al direttore di Libertà:

 

Le sarò grato se col mezzo del suo diffuso ed accreditato giornale “Libertà” io stigmatizzi con la forza dell’animo l’insano procedere di certi infami camuffati a sapienti ed a profeti qui noti, più pessimi dei croati, i quali cercano con l’arma dei vili - lettere anonime - denigrare la fama dei poveri soldati, che hanno sempre lavorato e che ora trovandosi sul campo di battaglia combattendo valorosamente per la grandezza di questa nostra cara patria Italia. E’ doloroso che in questo paese civile ed eminente commerciale, si sia sviluppato questo male, bisogna immediatamente toglierlo e per ciò fare bisogna che tutte le persone oneste dabbene trovino il modo di scoprire gli autori e scoperti questi rettili schifosi, nocivi alla società, denunciarli senz’altro alla pubblica riprovazione col cognome nome condizione e sesso.

 

La stessa allergia alla gloria si manifestò nei carpanetesi un ventennio più tardi quando per ogni caduto, della Resistenza, venne fornita una versione ufficiale e gloriosa della morte mentre la voce popolare diffondeva una o più versioni prosaiche della stessa.

 

  Condividi